Lontano dagli austeri altari delle Chiese l’ostia si sbizzarrisce e si dà appuntamento con alcuni amichetti: noci, mandorle, miele. Il risultato è un prodotto della pasticceria molisana assolutamente originale: le ostie ripiene. Due sottilissimi strati di ostia che racchiudono un composto bruno e croccante realizzato, di norma, con mandorle e noci spezzettate, miele, zucchero, scorza di arancia e, alle volte, un pizzico di cannella.

Per il ripieno bisogna far bollire in una casseruola, a fuoco moderato per circa 30 minuti, il miele e lo zucchero fino a farli sciogliere. A quel punto vengono aggiunti gli altri ingredienti e amalgamati tutti insieme sul fuoco, ancora per alcuni minuti. Terminata questa fase, è necessario tenere l’impasto in caldo a bagnomaria in modo che conservi la “malleabilità” adeguata per farcire le ostie.

La leggenda vuole che questo dolce nasca nel convento delle Clarisse di Agnone, comune altomolisano in provincia di Isernia. Pare che le monache, aiutandosi con delle ostie a raccogliere delle mandorle caramellate cadute su un ripiano, non riuscirono più a staccarle. E capirono che forse il combinato era più buono degli ingredienti singoli.

Ma un’altra leggenda “apocrifa”, che non trova conferma negli annali della storia molisana, racconta un’altra storia. Papa Celestino V, il pontefice del “gran rifiuto”, di nascita molisana, venne a sapere, una volta assunto il magistero di Pietro, che il cuoco vaticano non aveva idea di cosa fossero le ostie ripiene. Rimase talmente deluso che rinunciò al soglio pontificio e se ne tornò in Molise. Dove visse felice e contento, circondato dalla dolcezza delle ostie ripiene.

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